venerdì 24 febbraio 2012


Un dandy dal collo nudo.

Il dandy, nel suo noioso viaggio, si denudò dell’amatissimo foulard in seta blu, per fermare l’oscillazione dispettosa della sua valigia, inquieta come lui.
Ma nulla era più soggetto a tormento ed inquietudine, quanto il suo animo, che aveva spodestato la coscienza e si ergeva in cattedra, avido di risposta. Ad ogni quesito irrisolto, l’animo sussultava, fremeva, incalzava. Vibrava in un crescendo con spinta risoluta, bramando risposte. 
Picchi e cadute, elevazioni e discese brutali, un pentagramma di note celestiali e suoni gravi. Ma il dandy non fece trasparire alcunchè nel suo stanco volto. Si sarebbe detto di lui, un dandy privo di foulard.
E basta.

Il colore della solitudine

Tempo fa lessi un articolo in cui un autore moderno, mio coetaneo, parlò di “età della solitudine”.
Ma esiste l’età della solitudine? Si può profilare un’epoca o un passaggio temporale individuale per questa condizione dell’animo? No, non sono d’accordo.
Ieri ho provato questo stato lacerante e tremendo che ha assorbito tutte le energie e trasformato il mio ultimo briciolo di reattività e di spirito di sopravvivenza in un buco nero. 
Tutto era scuro, grigio scuro, ma non il “colore non colore”, ben definito, che spazza via i pensieri variopinti  come un vento furioso e permette di meditare, o isolarsi con se stessi per proteggersi. 
Era un grigio quasi nero, sbiadito ed odioso. Chiazzato e cupo. 
Nessuno è riuscito a sollevarmi, nessuno è riuscito a distrarmi, nessuno è riuscito a parlarmi perchè ero imbozzolata in questa nube di fuliggine. Ed anche la mia ironia era sopita sotto questa cenere. 
La solitudine è come una fuliggine, sottile, impalpabile, impercettibile. Ha opacizzato anche l’amore verso il mio gatto curioso, che guardava titubante il suo padrone in quel particolare stato della mente e cercava invano di farmi perdere nell’infinito dei suoi occhi indefiniti. 
Non era tristezza, nè melanconia, ma un’incresciosa solitudine non cercata, non voluta, infida come il veleno, che si è infilata tra le pieghe dell’anima e ha cancellato qualsiasi barlume di risposta. 
Era un canto monotematico, snervante, lesivo del pensiero,
dell’orecchio, della mente. 
Perfino la  mente, forte, razionale, si è lasciata seppellire da quella  fuliggine perniciosa. 
Non ha funzionato il sonno, scacciato via da una mente ormai permeata dalla cenere. 
Non ha funzionato il pianto, perchè il nodo stretto alla gola è stato un freno per le lacrime. 
Ieri la solitudine ha avvinghiato questo corpo, questa mente, questo corpo e sono morta. E’ stato un giorno senza dei, senza vino, senza beltà, senza pensieri, senza spirito, senza dolore, senza sorriso.
Un giorno morto.

Sunset


...come un artista incompreso, che nella solitudine ritrova la sua anima...